Il grande bluff.

Pietro Giannini 01/09/2016 


Oggi al Comune di Roma si sono dimessi l’assessore Minenna, Capo gabinetto della Raggi, Carla Raineri, dimessasi prima che le giungesse il benservito, nonché i vertici delle principali aziende romane ATAC ed AMA. 

La Raggi, in aula consiliare, non sapendo cosa rispondere alle domande che le rivolgevano i consiglieri d’opposizione, non ha aperto bocca, provocando l'immediata uscita di tutti i consiglieri della sinistra per protesta. 

Così dopo il naufragio impietoso e meschino dei sindaci farlocchi di moltissime città italiane, adesso anche Roma subisce l’onta dell’insulto perpetrato, con sistematica freddezza, dal M5S contro tutti gli italiani.

 Il fallimento postelettorale di quasi tutti loro comuni è stato un forte segnale che a Roma, però, non è stato colto.

Il 5 luglio scorso fummo facili profeti dicendo che a Roma non si sapeva chi avrebbe comandato. Se il direttorio, di emanazione grillesca, una sorta di Comintern "de noantri" alla Romana, oppure la Raggi che era stata eletta con molti voti e sulla quale i romani riponevano molte speranze.

Ma alla neo-sindaca è stato impedito di muoversi, di fare un passo in qualsiasi direzione, di scegliersi perfino i propri collaboratori. Ora, governare con collaboratori imposti da altri, oltre che difficile o quasi impossibile, è avvilente e mortificante per la Raggi, è una forma di autoritarismo di altri tempi, un’infamia politica immorale e squallida.

 Se poi le cose, com’è facile supporre, andassero ancora peggio di adesso, allora la colpa sarebbe della sindaca perché avrebbe tradito le attese nominando persone inadatte alla carica e bla bla bla…
Avrebbero trovato il capro espiatorio per la salvezza del simbolo. 

Cose già viste e sentite nella prima, nella seconda e nella terza repubblica.  La lotta per le poltrone, issata a vessillo di onestà e trasparenza, additata come il male unico di tutti i precedenti governi, non è che un miserabile bluff che è stato scoperto e di cui tutti dovranno prendere atto.

 I romani cominciano a capire di avere sprecato un'altra occasione, vista la inesperienza globale della Raggi. L'infiltrazione del direttorio negli affari del consiglio comunale, nella gestione della città Capitolina, si rivela per quello che in effetti essa è: una guerra fra capibastone per il controllo del territorio.

 Il populismo esasperato, la demagogia rozza, il qualunquismo deviante che trovano nei 5S un momento di sintesi eccelsa, non possono premiare per sempre, perché banalizzati da una carenza di cultura del sistema, di esperienza sul campo, di pratica politica, in buona sostanza.  Sembrano idiozie agli occhi dei folli seguaci del nulla, ma sono cose determinanti all'atto pratico. La realtà è sotto gli occhi di tutti e non la vede solo chi chiude gli occhi.

Buttare a cuor leggero una come la Raggi nella fossa dei leoni, è cosa inconcepibile; non hanno fatto eleggere un sindaco, hanno fatto eleggere direttamente un capro espiatorio cui addossare le colpe di un insuccesso. In effetti nessuno conosceva la Raggi prima delle elezioni, nessuno sapeva chi fosse. 
Un’illustre sconosciuta senza alcuna esperienza amministrativa né politica a questo livello. Il risultato più evidente è questo: dopo 73 giorni, ben più di tre mesi, Roma non ha ancora un governo. Ma gli spregiudicati attori di questa opera buffa non se ne curano per niente. Le promesse fatte in campagna elettorale sono solo un lontano e sfumato ricordo. Neanche i Romani se ne ricordano più. 

Ed è questo è il problema: non ricordare, dimenticare le promesse ricevute, vivere alla giornata nella speranza che qualcosa cambi, banalizzare la propria esistenza riducendola ad una semplice attesa di qualcosa che avrebbe potuto essere e non è stato. 
Praticamente un'attesa senza speranza.   

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