1° Maggio 1947: La strage di un giorno di festa
Pietro Giannini 01-05-2019
Oggi ricorre il 72° anniversario della strage di Portella della Ginestra
Il 1° Maggio in Sicilia non è solo la Festa del Lavoro. Non può esserlo.
È il giorno della commemorazione e del dolore. È il giorno in cui si rievoca la prima strage di Stato ed in cui si piangono e si ricordano i morti.
Quel 1° Maggio del 1947 si ritornava a rievocare la Festa di Lavoratori dopo l’interruzione del periodo fascista che l’aveva spostata al 21 Aprile ossia al Natale di Roma, di fatto cancellandola.
Tutto in Sicilia comincia immediatamente dopo la fine della 2^ Guerra Mondiale.
La mafia veniva fuori dalla grotte dove si era nascosta durante la guerra e ricominciava a tessere la sua tela di potere per il controllo sociale e politico non solo dell’isola. Ma era soprattutto il movimento dei contadini a preoccupare la mafia. Questi erano allo stremo delle forze e lottavano per sopravvivere con le unghie e con i denti.
La lotta cominciò quando furono emanati il decreto Gullo che stabiliva l’equa ripartizione del prodotto nei contratti di mezzadria, (c.d. lotta dei Granai), e quello per la concessione delle terre incolte, che andavano in malora, ai contadini che si associavano in cooperative. Furono quasi sempre lotte cruente quelle dei contadini, del sindacato e della Sinistra, contro il padronato di stampo ancora fascista, spalleggiato dalla mafia, che temeva di perdere la proprietà delle terre.
Ciò diede inizio ad una lunga seri di crimini mafiosi che bagnarono di sangue la Sicilia e che causarono più di duecento morti in pochissimi anni, fra i sindacalisti della CGIL, fra i politici del PC e fra gli agricoltori. Lo scopo evidente era quello di separare gli uni dagli altri per poter rendere più malleabili gli agricoltori stessi. Quelle lotte cruente con tanti morti furono la vera epopea (Santino 2000) del popolo Siciliano che molti sconoscono, e della quale, a parecchi politici contemporanei sembra non importare nulla.
In questo periodo di stragi nasce la figura tragica e violenta di Salvatore Giuliano.
Fu crudelmente occasionale la sua adesione al banditismo che, già all'epoca, era molto praticato e tollerato anche dalla mafia perché costituiva una fucina di giovani “picciotti”.

Salvatore Giuliano
Il 2 settembre del 1943 Giuliano aveva 21 anni (era nato a Montelepre nel 1922) e stava trasportando un carico di grano non regolamentare perché non conforme alle rigide norme annonarie vigenti all’epoca. Ad un certo punto fu fermato da una pattuglia di Carabinieri. Durante quel controllo, Giuliano perse la testa e sparò. Uccise un carabiniere e fece perdere le sue tracce sui monti. Subito si creò, perché manipolata ad arte, la leggenda dell’eroe che aveva ammazzato un carabiniere, simbolo dello Stato che opprimeva i poveri e difendeva i ricchi.
Giuliano molto presto riuscì a mettere insieme un manipolo di altri sbandati come lui, che si nascondevano su quelle montagne impervie, diventando, in pochi mesi il capo di una banda di ricercati pericolosi e sanguinari. Alla morte del bandito si contarono 430 morti, uccisi da questi spietati assassini.
Si tralascia per brevità la “carriera” del bandito, peraltro nota ai più, che forniva di viveri gli abitanti del suo paese creandosi l’immeritata fama di un novello Robin Hood. In effetti era solo una maniera per crearsi una rete di connivenze fra i suoi compaesani che, in cambio, gli coprivano le spalle.
Egli, all'apice della sua “fama”, decise di aderire al movimento separatista siciliano. Volle mettersi in politica come si disse all’epoca. Tanto che costrinse i suoi familiari a fare campagna elettorale nell’aprile del 1947 a favore del movimento indipendentista siciliano.
Ma le cose andarono molto diversamente, perché quelle elezioni segnarono una dura sconfitta per i separatisti e l’affermazione del “Blocco del Popolo”, coalizione formata da PCI e PSI che si affermò come prima forza politica con il 29.13%, ottenendo la maggioranza relativa dei voti. Ciò portò ad un mutamento negli equilibri politici dello Stato Nazionale, sia in quello dell’autonomismo regionale. Ma soprattutto indicava una nuova via politica tutta di sinistra che non piacque molto a nessuno dei poteri forti che al momento governavano in Italia ed in Sicilia.
Perse le elezioni, in maniera così pesante, nacque nella destra e nella mafia, la paura di perdere il potere dappertutto, perché anche in Francia si affermavano fortemente le sinistre. Era quindi necessario fermare subito quell’onda comunista che avanzava e montava velocemente; nemmeno dieci giorni dopo il risultato elettorale, la strage di Portella della Ginestra fermava temporaneamente quella speranza e mandava un segnale forte ed orrendo a tutta la sinistra Italiana.

Agricoltori che andavano a Portella
Quasi duemila persone il 1° maggio del 1947 si erano portate a Portella per assistere al comizio celebrativo per la rinata “Festa dei Lavoratori” seppellita per molti anni dalla becera cultura fascista, ma anche per festeggiare la vittoria elettorale di pochi giorni prima. Quella povera gente veniva da San Cipirello, San Giuseppe Jato e da Piana degli Albanesi.
Nel bel mezzo della Festa dai monti Kumeta, Pelavet e dalla Pizzuta, che sovrastano il pianoro di Portella, una valanga di fuoco si abbatté sui manifestanti che stavano godendosi una delle splendide giornate di sole che in quella terra non mancano mai.
L’inferno durò due lunghissimi minuti e lasciò morti e sangue dappertutto. Morirono due bambini e nove adulti e altri 27 rimasero feriti, diversi gravemente. Qualcuno dei feriti morirà nei giorni successivi.

I morti di Portella della Ginestra in una foto
del giornale "L'Ora" d Palermo.
In due minuti rimasero a terra più di ottocento bossoli di armi anche di grosso calibro che non appartenevano alla banda di Giuliano. In questi anni è stata avanzata l’ipotesi, peraltro molto interessata e portata avanti dagli USA e dall’OSS americani, secondo cui a sparare a Portella c’erano altri gruppi oltre quello di Giuliano. I servizi segreti statunitensi hanno ipotizzato la presenza di armi in dotazione alla Decima MAS di Junio Valerio Borghese, di stanza a Partinico. Un modo come un altro per far capire che gli americani con la strage non c’entravano affatto quando invece molte cose lasciavano intravedere che c’entravano... eccome. Se non altro per la lettera trasmessa dal Segretario di Stato George Marshall all'ambasciatore americano a Roma James Dunn: "Il Dipartimento di Stato è profondamente preoccupato del deterioramento delle condizioni politiche ed economiche italiane, che evidentemente stanno conducendo a un ulteriore aumento della forza comunista" Gli americani era preoccupati che i comunisti andassero al potere. Si ha motivo di supporre che ciò avrebbe potuto far saltare eventuali accordi raggiunti tra mafia ed USA al momento della sbarco in Sicilia.
In due minuti rimasero a terra più di ottocento bossoli di armi anche di grosso calibro che non appartenevano alla banda di Giuliano. In questi anni è stata avanzata l’ipotesi, peraltro molto interessata e portata avanti dagli USA e dall’OSS americani, secondo cui a sparare a Portella c’erano altri gruppi oltre quello di Giuliano. I servizi segreti statunitensi hanno ipotizzato la presenza di armi in dotazione alla Decima MAS di Junio Valerio Borghese, di stanza a Partinico. Un modo come un altro per far capire che gli americani con la strage non c’entravano affatto quando invece molte cose lasciavano intravedere che c’entravano... eccome. Se non altro per la lettera trasmessa dal Segretario di Stato George Marshall all'ambasciatore americano a Roma James Dunn: "Il Dipartimento di Stato è profondamente preoccupato del deterioramento delle condizioni politiche ed economiche italiane, che evidentemente stanno conducendo a un ulteriore aumento della forza comunista" Gli americani era preoccupati che i comunisti andassero al potere. Si ha motivo di supporre che ciò avrebbe potuto far saltare eventuali accordi raggiunti tra mafia ed USA al momento della sbarco in Sicilia.
Il Mausoleo all'aperto creato da diversi artisti Siciliani ed
Albanesi ad imperitura memoria dell'evento
Cippi commemorativi
Ma, come sempre, in Italia vige, anzi impera, il segreto di Stato, ed infatti tutto è finito sotto un manto di polvere ed è stato occultato alla verità ed alla giustizia. Il tribunale di Viterbo, il 3 maggio 1952, alla fine del processo alla banda di Turiddu Giuliano, pronunciò una sentenza in perfetta sintonia con la ricostruzione riduttiva e ingannevole fatta dall’allora ministro degli interni Scelba. Condanne solo per i banditi. Politici e mafiosi non furono mai coinvolti.
Restano i morti che non avranno giustizia, caduti per combattere contro la fame, i soprusi, la repressione, il malaffare, la mafia, la corruzione.
Ora come allora l’Italia non ha cambiato abito: indossa sempre quello sdrucito della vergogna.
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