Trombette, trombati e tromboni.
Pietro Giannini
17-02-2017
“S'ode a destra
uno squillo di tromba;
a sinistra
risponde uno squillo:
d'ambo i lati
calpesto rimbomba
da cavalli e da
fanti il terren.
Quinci spunta per
l'aria un vessillo;
quindi un altro
s'avanza spiegato:
ecco appare un
drappello schierato;
ecco un altro che
incontro gli vien”.
Se si legge attentamente questa parte iniziale del Coro, dall’atto
secondo de “Il Conte di Carmagnola”, prima tragedia di Alessandro Manzoni, ci si
materializza davanti agli occhi, quello che sta accadendo in Italia ai giorni
nostri.
Una sorta di battaglia finale nella quale, sia da destra che da
sinistra giungono roboanti urla ed invettive contro il nemico accompagnate
dalle squillanti e stridule note di voci acute, quasi di tromba, contrastanti
con quelle più profonde e grevi dei vecchi tromboni della nostra politica. Tutti
si affannano a dire la loro ed a complicare le cose, come se queste non lo fossero
già abbastanza da sole.
Il PD (Partito Defunto) si sta accartocciando su se stesso in una
miserabile gara fra vecchi e giovani e giovani contro giovani. Ognuno tira per
la sua parte, (spesso particella) sapendo, tuttavia perfettamente, che senza il
partito non esisterebbero nemmeno. Ma nonostante questa certezza si
aggrovigliano in teorie pseudo politiche che non hanno né capo né coda.
L’opposizione interna al PD, formata da una quindicina di gruppuscoli di
squinternati assertori del “mai uno solo al comando” sta, sempre più fortemente,
tentando di portare a termine l’assalto alla Bastiglia, dimenticando che Renzi
è stato scelto per guidare il partito, da una grande, eccezionale quantità di
consensi.
Mai nessuno ha avuto un successo personale così ampio come il suo.
Nemmeno quel D’Alema o quel Bersani che, dopo avere subito l’onta, della
mortificazione del plebiscito a Renzi, non si sono più riavuti.
E lo odiano a piene sfere.
I più giovani credono tutti di essere più Renzi di Renzi e spargono in
giro, con inusitata libidine, facezie e assurde richieste che, poi, vengono
rieditate il giorno dopo in altra forma ma con lo stesso scopo. Dare fastidio.
A destra il peggio deve ancora venire perché, nella fase di ricerca di
un nuovo condottiero delle orde destrorse (che ancora non si trova), s’insinua
perigliosamente il passaggio dal destrismo di casa nostra, rappresentato dai
vecchi partiti che conosciamo (Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, NCD ed
altri), alla nuova destra angosciante quanto populista e demagogica di Beppe Grillo;
il passo sarà breve ma violento.
I vecchi vessilli vengono sostituiti da nuovi vessilli e sotto i
vessilli avanzano già i nuovi drappelli di militanti anche se non ancora
definitivamente militarizzati.
Le diversità ideologiche che separavano destra e sinistra, sono state
ampiamente superate già fin dal 2011 quando non si parlò più di destra e
sinistra ma di centro-destra e centro-sinistra.
Di fatto veniva superato il manicheismo che mirava ad accentuare le
differenze di opinioni, teorie e posizioni affermando che fossero
inconciliabili.
Questo nuovo modo del tutto illusorio di intendere la politica, dopo il
ventennio Berlusconiano caratterizzato da un contrasto ideologico fittizio fra
la destra berlusconiana e la sinistra, quindi tra finti liberali e finti
comunisti (il patto del Nazareno è lì a dimostrarlo), portò il centrodestra ed
il centrosinistra a votare la fiducia al Governo tecnico di Mario Monti.
Tutti sappiamo come finì.
L’impostura ammannitaci negli ultimi 6-7 anni, che
mirava ad illuderci di vivere una fase politica meno cruenta e quindi più
produttiva per il Paese, si è spenta quando, dopo meno di un anno, il
centrodestra si sfilava dal governo Monti, additandolo come l’unico
responsabile di tutti i nostri mali. La nuova campagna elettorale fu di nuovo
portata avanti alla vecchia maniera, con durissimi scontri ideologici tra
destra e sinistra.
Ma le elezioni politiche del 2013 riservarono
un’amara sorpresa per le due coalizioni. L’elettorato decise di abbandonare la
vecchia politica fatta di lotta ideologica penalizzando, di conseguenza,
entrambi i raggruppamenti e premiando l'antipolitica ed il populismo del Movimento
5 Stelle.
La lezione evidentemente non è servita. Disperiamo
per l’avvenire.
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